Delle varie risorse umane del territorio montefalchese, mi piace qui focalizzare l’attenzione sul letterato Nicola da Montefalco, poeta del secolo XV, non tanto per la sua produzione consistita in un’unica opera il FILENICO (Canzoniere), né per la notorietà, invero assai limitata, quanto invece per essere stato, come lui stesso amava definirsi, imitatore del Petrarca, del suo Canzoniere, dei suoi languori amorosi: “ Dietro quil laudabil degno stile/del fiorentin poeta almo Petrarca/lector vo’ derizar la debel barca/del mio povero ingegno infimo e vile” (FILENICO, sonetto 5). L’indagine archivistica sui vari Nicola documentati in quel tempo a Montefalco, in assenza del patronimico, è risultata ovviamente vana, pertanto, allo stato, ciò che ci è dato sapere del nostro poeta, è quanto lo stesso ci ha tramandato nella sua opera letteraria, in molti versi chiaramente autobiografica. “Io nacqui guelfo, et non fui de stranero,/de picciol grado sì, ma non se cassa/già per comune strada un ver sentero”; e rivolgendosi a Braccio Baglioni, signore di Perugia, suo protettore e padrone “che fe’ ‘l mi ginitor per obbidentia vostra”. Al Baglioni, Nicola rimase legato fino alla morte di questi, avvenuta nel 1479, successivamente, tentò di ingraziarsi Napoleone Orsini di Roma, definendolo “mio signor”.
La formazione letteraria, culturale ed umanistica del nostro Nicola, trae sicuramente linfa vitale dalla convivenza, seppur all’ombra e sotto la protezione dei Baglioni, nella loro splendida corte, dove conobbe diversi letterati tra cui: il poeta Pacifico Massimi di Ascoli, il poeta Leonardo Montagna, l’umanista Giovanni Antonio Campano, cui spesso nel Filenico si riferisce con l’espressione “monsignor mio”, Francesco Maturanzio, massimo rappresentante dell’Umanesimo perugino. Particolare confidenza Nicola mostrò di avere con il Campano, massima espressione della cultura del tempo. Al Campano, Nicola così si raccomanda “Solleva su Ihoanni questa insana/et fragil mente mia”. Chiara prova di quella confidenza è data trarre dal sonetto 66 di Nicola: “piagnete muse et dal bel verde colle/fugite…” “Chiusa la scola, el bel latin tranosco/se monsignor Campan morte me tolle”. Il Campano nell’ottobre del 1472 fu nominato governatore di Foligno e del vicariato di Assisi e Visso. Durante quel governatorato scoppiò l’attrito tra i montefalchesi e i bevanati a causa dei confini. Con saggezza e maestria il Campano si recò a Bevagna e con la collaborazione di Valerio De Cuppis da Montefalco, legato ai Baglioni, e con scarso successo anche del nostro poeta, convinse i montefalchesi a rispettare i confini. Sonetto 103: Meser Valerio, quisti bevanati/m’àn colto ad uggia, et par ch’io scia pur quillo/che piantasse en sul colle el bel vexillo,/donde son de lor forze attenuati./Che quanto più da me sonno honorati,/et più dolce parlar co’ llor destillo,/più me dan vista darme del pusillo,/sci sopra me se monstrano animati./Et non me val iurar<e> per Evangelio,/che l’intrare el molin, como vedete,/me se denega, et fannome ancho melio;/che non me lassan gir dove sapete,/se me corroccio m’envitan de prelio,/io più non posso, et voi non provedete.”
Nicola, quindi, conosce molto bene quel mondo signorile delle corti del rinascimento italiano, tanto da soffermare la sua attenzione letteraria anche sulle varie amanti di quei signorotti, quali la bella cortigiana Margherita Montesperelli, detta “Deana perusina”, legata a Braccio Baglioni, Isotta degli Atti moglie di Sigismondo Pandolfo Malatesta, la partenopea Lucrezia d’Alagno, conosciuta come Lucrezia Franca amante di Alfonso d’Aragona re di Napoli, Pacifica Samperoli da Pesaro amante di Alessandro Sforza, Francesca Drago da Urbino legata a Federico da Montefeltro e numerose altre più o meno note.
Nicola è consapevole del suo limitato valore poetico, definendo la sua produzione letteraria “mie pover rime”, “bassi versi”, ”versi mei debili et vili”. Il merito che tuttavia stimola ad un approfondimento e maggior studio della produzione letteraria di Nicola sta essenzialmente nella rappresentazione fedele e meticolosa della realtà che lo circonda, sia con la descrizione dei numerosi personaggi, degli avvenimenti storici alcuni ancora da individuare e collocare nell’ambito delle storie locali, oltre che per i riferimenti alla mitologia, alla storia greco-romana.
Per quanto riguarda infine il linguaggio usato si evidenzia l’apparire del dialetto montefalchese, che in alcune voci resta ancor oggi vivo il ricordo: “biastimo” (bestemmio), “dereto” (dietro), “sèpe” (siepe), “doventa” (diventa), ecc. Ma come spiega l’illustre studioso della lingua italiana I. Baldelli nel L’Umanesimo volgare in Umbria, in L’Umanesimo umbro (atti del IX conv. di studi umbri, Gubbio 22-23 sett. 1974) Perugia 1977, pp. 82 ss., il valore letterario del nostro poeta consiste “per quello che è della poesia in italiano, soltanto l’ipotesi lirico-cortese, attraverso l’azione di Dante lirico e del Petrarca delle Rime, avrà una ininterrotta continuazione nelle civiltà letterarie successive; e questo anche perché una società in rapida trasformazione signorile poteva riconoscersi piuttosto nelle Rime”. È questo è proprio il caso del nostro Nicola, uno degli ultimi petrarchisti convinti del suo tempo.
JOEL GENTILI