Probabilmente ancora oggi questo nome rimane sconosciuto ai più, forse anche a qualche curioso che si interessa di arte italiana del “Rinascimento”. Eppure, negli ultimi decenni del Quattrocento e nei primissimi anni del Cinquecento, tra le colossali figure di Pietro Perugino e Bernardino Pinturicchio, il nome di Niccolò Alunno risuonava prepotentemente tra la Valle Umbra e le Marche meridionali.
Niccolò di Liberatore nacque a Foligno da un’agiata famiglia di speziali. La data di nascita non è nota ma grazie ad alcuni documenti può essere fissata intorno al 1435. L’appellativo “Alunno” gli venne conferito da Vasari nel 1568 dopo che questi lesse le parole “Nicholaus alumnus fulginiae” in calce alla predella (oggi al Louvre) del Polittico di Donna Brigida conservato nella chiesa di San Nicolò a Foligno, firmato e datato dal pittore nel 1492. In realtà con questo epiteto, che letteralmente significa “alunno/discepolo di Foligno”, il pittore voleva rinsaldare e rendere esplicito il suo stretto legame con la città natale e, di conseguenza, con la cultura artistica autoctona su cui si era formato. Pittore versatile e poliedrico, Niccolò riuscì in circa 45 anni di intensa attività a dominare la scena artistica dell’Umbria meridionale, soprattutto negli ultimi venti anni del Quattrocento.
Dopo una prima probabile formazione sulle opere di artisti conterranei come il neotrecentesco Giovanni di Corraduccio detto “Mazzaforte” e il pittore girovago Bartolomeo di Tommaso, Niccolò Alunno si dedicò ad un intenso studio della “pittura di luce” di origine fiorentina, la quale fu importata in Umbria da artisti di primissimo piano come Beato Angelico, Domenico Veneziano e Benozzo Gozzoli. Furono proprio gli affreschi licenziati da Benozzo Gozzoli nelle chiese di Montefalco (San Fortunato e San Francesco) nei primi anni ’50 del ‘400, il testo chiave su cui si formarono non solo il giovane Niccolò ma un’intera generazione di artisti folignati, i cui nomi principali sono oggi quelli di Pietro Mazzaforte, Pierantonio Mezzastris e Ugolino di Gisberto. Mentre gli artisti appena citati rimasero tuttavia sempre fedeli a questa koiné locale dell’espressionismo derivato da Benozzo, Niccolò di Liberatore riuscì nel corso degli anni, a rinnovare costantemente il proprio linguaggio figurativo, assimilando e riformulando in uno stile personalissimo, gli spunti formali desunti dalle opere che i fratelli Vivarini, Carlo Crivelli, i pittori di Camerino, Luca Signorelli realizzarono tra Umbria e Marche alla fine del secolo.