IL LECCIO
Pianta patriota
stemma d’Esperia
c’è chi ti chiama elce
dalle Alpi alla Trinacria.
Fosti compagno dell’ulivo
nel giardino di Hera,
legato ad esso dalla stessa radice
da cui trae forza la pace.
All’ombra della tua folta chioma
lo schivo riccio tace
nutrendosi della tua dolce ghianda.
Casa d’Egeria fosti,
Roma e Grecia spaventasti
con aura funesta,
essendo calamita
per l’elettrica tempesta.
Dimentica Seneca che al tuo colorito
associò la tristezza,
sei l’albero prediletto dal Cristo
che nella consapevolezza
del tuo sacrificio
riconobbe la sua stessa Redenzione,
la nostra salvezza.
Come umano derma
invecchia la tua corteccia,
grigia e liscia nell’età tenera,
scura e screpolata in quella matura.
Il tempo appiattisce la tua foglia
ma non la forza indomita,
mentre regola invisibile
le stagioni della nostra vita.
MERAKI
Il tuo viso è stato scolpito da Fidia,
non c’è altro verso
e quelle labbra carnose le hai sottratte ad
una ragazza della Media
o lì vicino,
gli zigomi sono fatti in Attica, marmo del Pentelico,
di rosa striato,
l’ombelico è l’omphalos di Delfi
che sussurra versi proibiti.
I capelli rossi come i tramonti di Amalfi e
Gli occhi due abissi,
rubati a una galassia sconosciuta a
qualsiasi rivista scientifica,
la schiena è bianca e curva come
quella di una danzatrice
ma tu non balli,
ti libri in aria per raggiungere il tuo apice,
Meraki
è l’unica parola del tuo indice.
JOEL GENTILI